Il riso con salsa di pollo al curry è una ricetta degli anni ’70, che prevedeva l’impiego di dadi da brodo e di panna da cucina. L’ho modificata pochissimo sostituendo solo questi due ingredienti. Per il resto è assolutamente la ricetta originale di Irene.
Irene mia,
in tutti questi anni non ti ho mai scritto, lo faccio adesso che ci siamo ritrovate per dirti quanto sei stata importante nella nostra vita e quanto ti abbiamo voluto bene. Ma forse già lo sai.
Quando sei approdata da noi (40 anni fa? di più?) con una coppola sgargiante fatta maglia e l’aria e mesta, te ne scappavi dalla casa di un Onorevole del Partito Liberale Italiano, dove facevano tacche sul formaggio per controllare che non te lo mangiassi. Dal giorno dopo quell’aria mesta è sparita dalla tua faccia e non si è mai più ripresentata. Io ti ricordo solo sorridente e con una gran voglia di ridere e di giocare: durante gli 11 e passa anni che sei rimasta con noi non ti ho vista adombrata nemmeno un giorno.
L’ironia è nel tuo DNA: sfottevi me e Silvia ma senza problemi anche mamma e papà, o il postino che suonava e tu gli andavi ad aprire senza i 4 incisivi superiori (li avevi finti, credo per un problema di alimentazione da piccola) e te li toglievi per farci ridere – accogliendolo con uno smagliante sorriso di gengive.
Ridevi alle lacrime per le commedie di Eduardo in tv, in napoletano stretto: non so se capivi ogni parola o se il suo umorismo ti arrivava per empatia e familiarità.
Il giovedì pomeriggio la tua camera da letto (2 metri per 3) si trasformava nel quartier generale della comunità femminile capoverdiana a Roma; le tue numerose sorelle e numerosissime amiche si stipavano lì dentro in numero imprecisato, continuando ad entrare ed entrare… sembrava uno scherzo.
Eri il ras del gruppo, dirimevi questioni di ogni genere, pratiche, lavorative e sentimentali (quelle sentimentali meno volentieri, eri sbrigativa e pragmatica e non c’era indulgenza per chi tendeva a piangersi addosso), istruivi le tue amiche, le cazziavi e le nutrivi a pentoloni di cachupa, la zuppa tipica di Capo Verde a base di legumi e manioca della quale ricordo esattamente il sapore e che non ho mai più ritrovato (dovrai mandarmi la ricetta prima o poi).
Quando morì tuo padre stette pigiate in quella stanzetta a salmodiare per una notte intera, con ululati e lamenti straziati, e la ripetizione forse di un mantra benefico che in una manciata di ore ti permise di smaltire il trauma, consumare il dolore e tornare, il giorno dopo, al tuo consueto sorriso. Per me fu una lezione indimenticabile. Sono tutt’ora a bocca aperta per il modo così adulto di affrontare la morte: noi e la nostra cultura evoluta ancora non sappiamo preparaci all’unico evento certo della vita.
Avevi fatto perdere la testa ad Amedeo un ragazzo italiano, timido e gentile, che telefonava continuamente e che tu trattavi con sbrigativa ironia (anche se forse gli volevi bene) perché avevi deciso che avresti sposato un uomo del tuo paese. E così fu: il mio papà ti ha accompagnata all’altare dove ti aspettava Thomas (pronuncia: Tomésh) un marinaio di lungo corso, grande e buono, con il quale hai condiviso il resto della vita e due figli (e il povero Amedeo ha dovuto accontentarsi di un surrogato, una ragazza del tuo paese che però non eri tu).
Poi è nato Alessandro.
Nostra cugina ce lo invidiava: noi avevamo un bambolotto in carne e ossa mentre lei dovette accontentarsi di un Cicciobello nero, che chiamò – guarda caso – Alessandro.
Mentre lavoravi ti legavi il fantolino sulla pancia con uno scialle, una sorta di marsupio ante litteram in cui lui dormiva beato, appoggiato sul tuo cuore con il battito che lo cullava e lo rassicurava.
È un caso se oggi Alessandro è il ragazzo più solare e sorridente mai visto?
Ma non è solo questo. Non ho mai conosciuto una mamma meno apprensiva di te. Alessandro poteva giocare coi coltelli di cucina senza che tu muovessi un sopracciglio: tanto finché non parla non può farsi male.
Però sei insorta quella volta che gli ho dato un goccino di caffè, hai urlato: «Ma sei matta? È amaro!»
L’unica occasione in cui perdevi tutta la tua ironia era quando Alessandro, un po’ più grandicello, ti chiamava Irene e non mamma (e chiamava invece mamma, la nostra, come sentiva fare a noi). Gli acchiappavi i capelli con il pugno e stringevi istericamente quei ricciolini fitti, imprecando fra i denti. Addivenimmo a un compromesso: mamma nostra era mamma-mucca (per via di un certo muggito che emetteva quando la chiamavamo ed era sovrapensiero) e tu eri mamma-Irene. MammaIène in realtà: Alessandro la R ancora non la diceva.
Quando compì 3 anni ve ne andaste. Dovevi tornare al tuo paese e alla tua vita (o forse aspettavi già Danielson). Fu uno strazio separarsi, addii insopportabili all’aeroporto… tanto che mamma(mucca) poco dopo prese un’aereo e venne a Capo Verde da te. Per l’occasione le cedesti il tuo letto, con Alessandro tutto felice che si ficcava a dormire con lei.
Poi la vita ha preso il sopravvento e ci siamo persi. Una telefonata ogni qualche anno, Alessandro che in seguito ha tentato di contattarci ma per qualche ragione non doveva essere il momento giusto e non ci siamo riagganciati.
Lo abbiamo fatto ora e siamo in contatto costante grazie a internet che ci permette di vederci e di parlare come se fossimo nella stessa stanza, o di scriverci lettere come questa.
Per preparare il Riso con salsa di pollo al curry di Irene per 4 persone, servono:
Ricette dai blog amici:
Riso con germogli e fragole dal blog Cucina Casareccia
Il mio risotto al nero di seppia dal blog Lo scrigno del buongusto
Risotto con gamberetti e verdurine dal blog Un avvocato ai fornelli
Panettona
02/09/2017 @ 4:56
Slurp!
PS La cachupa me la ricordo pure io, buonissima ?
amore e olio
02/09/2017 @ 15:34
Troveremo il modo di rifarla!
Panettona
08/09/2017 @ 16:13
E con te all’opera, tutto e’ possibile 😉
lia
02/09/2017 @ 8:19
Che bella storia d’amore. …e che Buona questa ricetta!
amore e olio
02/09/2017 @ 15:34
Grazieeee!?