L’insalata paso doble richiama il significato dell’omonima danza dove i ballerini mimano una sfida di sottomissione e attacco, come fra toro e torero. Lo stesso succede in questa insalata fra la pesca scottata alla griglia e il cuore di palma, e in Palla capitano fra Virginia e il suo mondo.
PALLA CAPITANO
(racconto d’appendice in 7 puntate)
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Seconda puntata
La mamma e il papà erano perplessi. Gli stavo spiegando cosa era successo all’ora di ginnastica.
Gli ultimi venti minuti ci hanno fatto scegliere cosa fare; i maschi sono andati a giocare a pallone, e da noi – tanto per cambiare – hanno scelto palla capitano. Già questo mi ha fatto partire un batticuore che me lo sentivo fino nelle orecchie: palla capitano è il gioco peggiore di tutti, stai lì ad aspettare che ti sparino… Ho provato a dire alla profe che stavo veramente male e che questa volta proprio non potevo… Ma non mi ha neanche lasciato finire la frase intimandomi di raggiungere le altre. Mi chiedo come farò a farmi credere il giorno che mi sentirò male davvero.
Almeno speravo di stare in squadra con Patrizia Costantini perché stare contro di lei mi terrorizza troppo.
Il gioco è così: chi ha la palla, spara, cioè la tira verso l’altra squadra cercando di colpire qualcuno senza fargliela acchiappare. Quello che è stato colpito diventa prigioniero e deve andare nella zona ostaggi nemica; se invece riesce a fare presa può lanciare, o contro un avversario per farlo prigioniero, oppure a un suo compagno in ostaggio per liberarlo. Se l’ostaggio riesce ad acchiappare il pallone è libero, e prima di tornare in campo con la sua squadra lancia da lì: tirare da quella posizione è molto vantaggioso perché nessuno può essere colpito finché è nell’area degli ostaggi, anche se è stato liberato. Queste sono le regole generali, poi ci sono un sacco di altre regolette che io neanche mi ricordo. Per quello che mi serve!
Naturalmente non sono capitata nella squadra di Patrizia Costantini: le altre vengono scelte, io invece càpito. Quando si costituiscono le formazioni ognuno dei due capitani sceglie a turno i giocatori, io che resto sempre per ultima, càpito all’una o all’altra squadra. Patrizia Costantini, quando non è capitana, è la prima che si accaparrano. È fortissima e quando sta per lanciare fa una smorfia di concentrazione che mi paralizza le gambe e il cuore: spinge in avanti la mascella e coi denti di sotto aggancia il labbro superiore, strizza gli occhi fin quasi a chiuderli, porta con le braccia piegate indietro il pallone all’altezza della nuca, quindi spara la sua micidiale cannonata. Quando vedo che sta per sparare contro di me, mi punta e si concentra, le orecchie cominciano a ronzare, sento tutto ovattato, un filo di sudore gelido mi cola lungo il collo e penso di svenire. Mi paralizzo e invece che tentare di acchiappare la palla resto lì impalata a fare il bersaglio. Se Patrizia Costantini indugia un attimo di più l’angoscia dell’attesa è tale che le lacrime salgono ad appannarmi gli occhi. E resto immobile bloccata dal terrore e senza vedere più niente. Però di questo non se ne è mai accorto nessuno: sono bravissima a inghiottirmele le lacrime quando non voglio farle vedere. Me l’ha insegnato Cirenè come si fa.
In genere vengo colpita per prima e non vengo più liberata fino alla fine della partita, sia perché nessuno della mia squadra ha interesse a liberarmi visto che più che altro sono zavorra, sia perché io cerco di evitarlo a tutti i costi: è troppa l’angoscia a stare dall’altra parte! E così quando finalmente raggiungo il campo ostaggi sono al sicuro. La vera tragedia è quando – non so come – mi ritrovo la palla in mano (cosa rara per fortuna) e sono costretta sia a lanciare, sia a tornare in campo con la mia squadra, e a ridiventare il più immobile e terrorizzato dei bersagli. E se mi tocca sparare provo a mettere tutta la forza che ho in quei lanci, mi impegno al massimo e ogni volta penso – Questo sarà una bomba! – poi vedo che il tiro viene regolarmente preso con la più tranquilla facilità, a volte anche con una mano sola. Non mi è mai capitato di riuscire a fare prigioniero qualcuno, neanche quella volta che tirai verso Rita Pomigliani che era voltata: una le gridò – Pallaaa! – lei si girò e fece presa. Poi la profe disse che era rimasta addolorata per la mia scorrettezza e che l’avevo proprio delusa: non credevo che sarei stata in grado di deluderla più di quanto non facessi già regolarmente dall’inizio dell’anno!
Comunque oggi, all’inizio della partita, mi sono detta che questa volta non avrei sofferto: per togliermi subito il pensiero mi sono messa in prima fila, dritta e con gli occhi chiusi ad aspettare di essere colpita. Ma niente, tutto fermo. Allora ho sbirciato: le ragazze erano a semicerchio intorno a me, il pallone per terra tenuto fermo da un piede, e la profe davanti che sputava fuoco dalle narici. Ho ascoltato per un po’ la valanga di improperi che mi spettava e cioè che sono una smidollata, che una pigrizia così non l’ha mai vista in tutta la sua carriera, che se a undici anni sono così pelandrona a venti che faccio, per comodità giro in sedia a rotelle? Che sono una vergogna… poi mi sono distratta e non l’ho più sentita, finché ha ripetuto, credo più volte:
«Giustificati ho detto!»
«Ehm… gliel’ho detto, sono indisposta…»
«Sei indisposta. Bene, dimmi esattamente cos’hai, ma bada che se ne inventi un’altra delle tue, te la vedi direttamente col preside!»
«Sono indisposta… cioè, ecco… insomma… Non sono disposta a giocare a palla capitano.»
E adesso ero lì che annaspavo davanti ai miei genitori, guardavo le loro facce senza espressione e spigarmi diventava sempre più difficile: volevo chiarire che la profe non è stata leale, che io gliel’ho detta la verità ma che lei si è infuriata e che in presidenza mi ci ha mandato lo stesso sostenendo che sono un’impertinente e che lei non si fa menare per il naso da nessuno.
Ma mi sono resa conto che mentre col pensiero avevo già raccontato tutto, con la voce no: mi ero fermata all’inizio della frase, provavo, insistevo, ma uscivano solo dei suoni monchi: in… ind… inn… in… finalmente la parola mi viene fuori dalla bocca completa, come sparata da una fionda: INDISPOSTA! e allora presa dalla foga ho voluto che la voce raggiungesse il pensiero al punto in cui era arrivato e, saltando forse qualche dettaglio ho detto tutto d’un fiato:
«Lei si è infuriata e ha detto che sono un’impertinente e che non si fa menare per il naso da nessuno!»
«Fammi capire Virginia, tu sei stata mandata dal preside con l’accusa di impertinenza perché non ti sentivi bene?»
Quando papà inizia una frase con ‘fammi capire’, non c’è mai da aspettarsi niente di buono. Ho provato a replicare ma ero agitata e ho sentito che le parole mi si sarebbero ancora annodate in bocca. Sono scappata in camera mia e mi sono fatto un pianto muto e interminabile con la faccia affondata nel cuscino di Arianna.
Continua…
Per preparare l’Insalata paso doble servono:
- 1 lattuga
- 2 pesche sode
- 2 cuori di palma
- 1 barattolino di mais dolce
- 100 gr di parmigiano in scaglie
- 2 cucchiai di parmigiano grattugiato
- 40 gr di mandorle in scaglie
- ½ limone
- 4 cucchiai di olio extravergine, biologico, Dop
- sale
Compongo l’Insalata paso doble
Condisco con sale, il succo di mezzo limone e del buonissimo extravergine: io ho usato il Terre Rosse, e qui spiego perché:
La sfida dell’insalata paso doble è servita: chi è l’attaccante e chi il sottomesso? Ai commensali l’ardua sentenza!
Insalata paso doble – postato da Riccidiburro
Ricette dai blog amici:
Insalata mista cotta in riduzione di aceto alle rose dal blog Cucina Casareccia
Insalata di farro dal blog Lo scrigno del buongusto
Insalata mare e terra dal blog Un avvocato ai fornelli